Archivi per ‘Donne’

Elettra Pollastrini (le 21 donne costituenti)

category Donne, Spi Vercelli 25 Giugno 2018

Elettra Pollastrini (Rieti, 15 luglio 1906 – Rieti, 2 febbraio 1990)

Nacque in una famiglia antifascista che nel 1934 fu costretta ad espatriare in Francia.

Fin da giovanissima si professa comunista e durante la Guerra civile spagnola andò nel paese iberico a combattere contro il franchismo, a fianco delle Brigate Internazionali. Tornata in Francia fu arrestata e incarcerata nella prigione femminile di Aichach, dove rimase fino al termine della Seconda guerra mondiale.

Rientrata in Italia, nel 1946 fu eletta nell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana nel Gruppo Comunista. Fu poi rieletta Deputata nella I e II Legislatura nelle file del PCI

Ottavia Penna (le 21 donne costituenti)

category Donne, Spi Vercelli 21 Giugno 2018

Ottavia Penna (Caltagirone, 12 aprile 1907 – Caltagirone, 2 dicembre 1986)

Figlia di Francesco Penna, barone di Portosalvo, e di Ines Crescimanno Maggiore, duchessa di Albafiorita, trascorse la sua giovinezza a Caltagirone per poi trasferirsi a Poggio Imperiale e a Roma al fine di completare gli studi universitari. Subito dopo sposò il medico Filippo Buscemi Galasso. Nel 1946 fu eletta nella lista del Fronte dell’Uomo Qualunque, all’Assemblea Costituente nella circoscrizione di Catania. Fu una delle 21 donne che presero parte all’Assemblea Costituente nel giugno 1946, unica donna del movimento.

Il 28 giugno dello stesso anno, Ottavia Penna Buscemi venne candidata dal suo partito alla poltrona di Capo provvisorio dello Stato: era la prima donna ad essere proposta per la più alta carica istituzionale e nel fare il suo nome Guglielmo Giannini, segretario dell’Uomo Qualunque, la definì «una donna colta, intelligente, una sposa, una madre». Ottenne i 32 voti del suo partito,contro i 396 di Enrico De Nicola, che risultò eletto, e i 42 del repubblicano Cipriano Facchinetti.

Dal 19 al 24 luglio 1946 fu tra i 75 componenti della Commissione per la Costituzione, insieme a Nilde Iotti, Teresa Noce, Lina Merlin e Maria Federici, per la stesura della costituzione.

Il 15 novembre 1947 lasciò il Fronte dell’Uomo Qualunque, insieme ad altri parlamentari del movimento per formare il gruppo dell’Unione Nazionale e vi rimase fino alla conclusione dei lavori dell’Assemblea Costituenteil 31 gennaio 1948.

Nel 1953, infine, si presentò con successo alle elezioni amministrative della sua città tra le file del Partito Nazionale Monarchico divenendo consigliere comunale. Ritiratasi dalla scena politica, trascorse gli ultimi anni nella città natale dove si spense nel 1986.

Teresa Noce (le 21 donne costituenti)

category Donne, Spi Vercelli 16 Giugno 2018

Teresa Noce Torino, 29 luglio 1900 – Bologna, 22 gennaio 1980

Nata nel 1900 a Torino da famiglia operaia e costretta ad abbandonare molto presto la scuola, continuò a istruirsi da autodidatta, svolgendo vari mestieri.

Nel 1921 fu fra le fondatrici del Partito comunista italiano; nell’ambiente politico torinese conobbe Luigi Longo, studente di ingegneria che ricopriva già incarichi di responsabilità politica. Si sposarono nel 1926 ed ebbero tre figli. Nel gennaio 1926 i due espatriarono, stabilendosi prima a Mosca e poi a Parigi.

Da qui Teresa Noce compì numerosi viaggi clandestini in Italia per svolgervi propaganda e attività antifascista. Nei primi anni trenta, fece ritorno a Mosca con Longo e, quindi, nuovamente a Parigi, dove partecipò, con Xenia Silberberg, alla fondazione del giornale Noi donne, inizialmente uscito come foglio clandestino. Nel 1936 insieme con il marito si recò in Spagna tra i volontari accorsi in difesa della Repubblica dopo lo scoppio della guerra civile spagnola, nel corso della quale curò la redazione del giornale degli italiani combattenti nelle Brigate internazionali, Il volontario della libertà. Lì assunse il nome di battaglia di Estella.

Rientrata in Francia, allo scoppio della Seconda guerra mondiale venne internata nel campo di Rieucros; liberata per intervento delle autorità sovietiche e autorizzata a lasciare la Francia e a ritornare a Mosca, dove vivevano i figli, ne fu impedita dall’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, avvenuta nel giugno 1941. Rimase in Francia, a Marsiglia, dove prese a lavorare per il Partito comunista francese come responsabile della MOI (Mano d’opera immigrata) e partecipò alla Resistenza nel gruppo dei Francs-tireurs-et-partisans. Nel 1943 venne arrestata e, dopo alcuni mesi di carcerazione, deportata in Germania, prima nel campo di concentramento di Ravensbrück, poi in Baviera a Flossenbürg e infine a Holleischen, campo cecoslovacco in cui furono deportati molti prigionieri quando, nell’autunno del 1944, il lager bavarese fu chiuso. A Holleischen fu adibita a lavoro forzato in una fabbrica di munizioni fino alla liberazione del campo da parte dell’esercito sovietico.

Alla fine della guerra, ritornata in Italia, il 2 giugno 1946 fu tra le 21 donne elette all’Assemblea costituente italiana fu una delle cinque donne entrate a far parte della Commissione speciale incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione da discutere in aula, divenuta nota col nome di Commissione dei 75.

Fu segretaria nazionale della FIOT, il sindacato delle operaie tessili e nel 1948 fu eletta nella prima legislatura del parlamento repubblicano, nel quale si distinse come proponente della legge 26 agosto 1950 n. 860 per la “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri” che, sostituendo la precedente normativa in materia del 1934, costituì la base della legislazione sul lavoro femminile fino alle leggi degli anni settanta sulla parità tra donne e uomini. L’impegno sindacale portò Teresa Noce a ricoprire l’incarico di presidente dell’Unione Internazionale Sindacale dei Lavoratori tessili e dell’abbigliamento (UISTA) con sede a Varsavia e, da quando nel 1955 lasciò la segreteria della FIOT, divenne segretaria dell’UISTA stessa la cui sede venne spostata a Milano.

Longo nel 1953 ottenne l’annullamento del matrimonio a San Marino presentando un documento che conteneva una firma contraffata di Teresa Noce. Nelle sue memorie (p. 411) riporta di avere appreso questo fatto dalle pagine del Corriere della Sera e che per lei rappresentò un evento «grave e doloroso più del carcere, più della deportazione». La sua decisione di rivolgersi alla Commissione Centrale di Controllo del PCI con l’intento di denunciare il comportamento di Longo fu considerato inopportuno da una parte del gruppo dirigente del Partito e questo determinò la sua esclusione dalla Direzione.

Nel 1954 si allontanò dalla vita politica attiva ritirandosi gradualmente a vita privata, ma dal 1959 fu attiva nel CNEL quale membro della CGIL; nel 1974 pubblicò la sua autobiografia, Rivoluzionaria professionale, che racconta, insieme alla sua storia personale, la vicenda del partito comunista italiano dalla sua fondazione.

Rita Montagnana (le 21 donne costituenti)

Rita Montagnana (Torino, 6 gennaio 1895 – Roma, 18 luglio 1979) è stata una politica italiana, esponente e parlamentare del Partito Comunista Italiano.

Di famiglia ebraica originaria di Mondovì, sarta di professione, si dedicò fin da giovanissima all’attività politica, diventando dirigente provinciale e regionale del movimento giovanile socialista. Nel 1917 partecipò alle rivolte torinesi per il pane, nel 1919 al movimento dei Consigli operai e all’occupazione delle fabbriche; nel 1921, insieme al fratello Mario Montagnana (futuro direttore de l’Unità), partecipò alla fondazione del Partito Comunista d’Italia, sezione italiana dell’Internazionale e fu delegata al III Congresso dell’Internazionale comunista a Mosca.

Nel 1922 fondò il giornale La compagna, organo del movimento femminile del Partito comunista. Conobbe Palmiro Togliatti nella redazione de L’Ordine Nuovo – la rivista fondata a Torino nel 1919 dalla minoranza comunista del Partito socialista, diretta da Antonio Gramsci – e lo sposò nel 1924. L’anno dopo nacque il loro unico figlio, Aldo (29 luglio 1925 – 9 luglio 2011). Emigrò insieme con il marito in Francia, poi in Unione Sovietica, alternando lunghe presenze in Francia e Svizzera.

Fu in Spagna tra il 1936 e il 1938, nel corso della guerra civile spagnola. Rientrò in Italia nel maggio 1944 e, dopo la liberazione di Roma, fu dirigente della sezione femminile del PCI e fondatrice dell’Unione Donne Italiane (UDI). Fu una delle organizzatrici delle prime celebrazioni italiane, nell’immediato dopoguerra, della Giornata internazionale della donna; a lei, a Teresa Mattei e a Teresa Noce si deve, tra l’altro, la scelta della mimosa come simbolo dell’8 marzo.

Fu eletta all’Assemblea costituente nel XIII collegio (Bologna-Ferrara-Forlì-Ravenna), prima fra gli eletti del PCI, con 68.722 voti di preferenza. Successivamente divenne senatrice nella I legislatura, eletta in Emilia-Romagna nel collegio di Imola. Nel 1948 fu lasciata da Togliatti per Nilde Iotti. Dopo il 1958 abbandonò progressivamente l’attività politica, anche in seno al Partito Comunista Italiano. Morì a Roma nel 1979 e fu sepolta nel Cimitero Parco di Torino.

Angiola Minella (le 21 donne costituenti)

Angiola Minella, coniugata Molinari (Torino, 3 febbraio 1920 – Torino, 12 marzo 1988), è stata una partigiana e politica italiana, esponente del PCI.

Nel corso della seconda guerra mondiale fu attiva nella Croce Rossa. Dopo l’armistizio di Cassibile entrò a far parte attivamente della Resistenza piemontese, inizialmente con i badogliani, poi con i garibaldini.

Fu tra le prime donne deputato del Parlamento della Repubblica Italiana nell’Assemblea Costituente; nelle legislature successive sedette sia alla Camera dei deputati sia in Senato.

Lina Merlin (le 21 donne costituenti)

Lina Merlin, all’anagrafe Angelina Merlin (Pozzonovo, 15 ottobre 1887 – Padova, 16 agosto 1979), è stata una politica, partigiana e insegnante italiana, componente dell’Assemblea Costituente e prima donna a essere eletta al Senato.

Il suo nome è legato alla legge 20 febbraio 1958, n. 75 – conosciuta come Legge Merlin – con cui venne abolita la prostituzione legalizzata in Italia.

La giovane maestra Lina Merlin cominciava a rendersi conto delle condizioni in cui vivevano le donne del suo tempo: in particolare non tollerava l’ipocrisia dei capi di famiglia religiosi e osservanti, che non trovavano alcuna contraddizione tra i loro principi e il frequentare le prostitute. Le case chiuse erano infatti considerate luogo di svago dove i giovani potevano fare esperienza, mentre sarebbe stato scandaloso per una donna avere rapporti sessuali fuori del matrimonio.

Nel 1919 un amico la invita a far parte del movimento fascista: c’è bisogno di organizzare le donne e lei sembra la persona ideale. Lina si sente attratta invece dagli ideali del socialismo che ritiene più vicini alla sua mentalità e alla sua morale.

Si iscrive perciò al Partito Socialista Italiano, cominciando a collaborare al periodico “La difesa delle lavoratrici”, di cui in seguito assumerà la direzione. Collabora con il deputato socialista Giacomo Matteotti a cui riferisce nei dettagli le violenze perpetrate dalle squadre fasciste nel padovano.

Quando, nel 1925, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, Mussolini consolida il suo potere, il destino di Angela è ormai segnato. In meno di ventiquattro mesi viene arrestata cinque volte. Inoltre nel 1926 viene licenziata dal suo impiego di insegnante perché si rifiuta di prestare il giuramento di fedeltà al regime, obbligatorio per gli impiegati pubblici. In seguito alla scoperta del complotto per attentare alla vita del duce da parte di Tito Zaniboni, il suo nome viene iscritto nell’elenco dei “sovversivi” affisso nelle strade di Padova. Lina quindi si trasferisce a Milano dove pensa sia più difficile essere rintracciata. Lì comincia a collaborare con Filippo Turati, ma viene arrestata e condannata a cinque anni di confino, in Sardegna, in Barbagia a Dorgali (NU) dove viene colpita dalla povertà e dall’arretratezza della regione. Anche in quel luogo riesce a conquistarsi il rispetto e la fiducia degli abitanti e soprattutto delle donne, ad alcune delle quali insegnerà a leggere e a scrivere.

Rimasta vedova a 49 anni, prende parte attivamente alla Resistenza, donando ai partigiani la strumentazione medica e i libri del marito e raccogliendo fondi e vestiario per i partigiani. Insieme a Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi, Laura Conti, Elena Drehr, Ada Gobetti e Rina Picolato costituisce i Gruppi di difesa della donna. Da una stima effettuata a guerra finita, nei GDD costituitisi in tutta Italia si contavano circa 59.000 donne. Da questa organizzazione nascerà l’Unione Donne Italiane.

In questo periodo Lina prende parte ad azioni di guerra partigiana, rischiando più volte la vita. Catturata dai nazisti, riesce a sfuggire con uno stratagemma. Scrive articoli sul periodico socialista clandestino Avanti!, e nella sua casa di via Catalani 63 Lelio Basso, Sandro Pertini, Rodolfo Morandi e Claudia Maffioli organizzano l’insurrezione. Lei riceverà l’incarico di occuparsi del settore scolastico, e insieme al professor Giorgio Cabibbe e ai partigiani della Brigata Rosselli occuperà il Provveditorato agli Studi di Milano, imponendo la resa. il 27 aprile 1945 viene nominata dal CLNAI Commissario per l’Istruzione di tutta la Lombardia.

Dopo la liberazione Lina si trasferisce a Roma alla direzione nazionale del PSI prendendo familiarità con l’ambiente politico della capitale, dove l’astuzia e il carrierismo, lontanissimi dalla sua concezione della politica, sembravano dominanti nella nuova classe dirigente. Nel 1946 viene eletta all’Assemblea Costituente.

I suoi interventi nel dibattito costituzionale, quale membro della Commissione dei 75, risulteranno determinanti per la tutela dei diritti delle donne, e lasceranno un segno indelebile nella Carta Costituzionale. A lei si devono infatti le parole dell’articolo 3: “Tutti i cittadini…sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso“, con le quali veniva posta la base giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna, che fu sempre l’obiettivo principale della sua attività politica. È inoltre degna di nota l’opera di mediazione da lei esercitata tra opinioni contrapposte riguardo alla stesura dell’articolo 40, concernente il diritto di sciopero, proponendo una formulazione analoga a quella presente nel preambolo della Costituzione della IV repubblica francese.

Candidata dal PSI nel collegio di Rovigo, viene eletta al Senato della Repubblica il 18 aprile del 1948. Fin dai primi giorni della sua attività parlamentare dedica tutti i suoi sforzi al miglioramento della condizione femminile in Italia e allo stanziamento di risorse per lo sviluppo dell’area del Polesine, una delle regioni più depresse del settentrione d’Italia, che il 14 novembre del 1951 verrà devastata da una catastrofica alluvione che causerà 84 morti e più di 180.000 senzatetto.

Uno dei punti cardine, se non il principale, dell’opera politica di Lina Merlin è stata la battaglia per abolire la prostituzione legalizzata in Italia, seguendo l’esempio dell’attivista francese Marthe Richard, che già nel 1946 aveva fatto chiudere le case di tolleranza in Francia, ma in seguito ammise di aver cambiato posizione sulla prostituzione. La legge venne approvata, dopo 10 anni di dibattito, il 20 febbraio 1958.

Nel 1961 le venne fatto sapere che il partito non intendeva ripresentare la sua candidatura nel collegio di Rovigo, dov’era stata rieletta al Senato nel 1953 e alla Camera dei deputati nel 1958, e lei reagì strappando la tessera. Nel suo discorso di commiato dichiarò che le idee sono sì importanti, ma camminano con i piedi degli uomini, e che lei non ne poteva più di «fascisti rilegittimati, analfabeti politici e servitorelli dello stalinismo».

La socialista Merlin fu una convinta antidivorzista perché considerava il provvedimento non idoneo a garantire gli interesse delle donne; fece parte del comitato promotore del referendum abrogativo della legge che nel 1970 introdusse in Italia il divorzio. Cremata e tumulata nel cimitero monumentale di Milano, nel 2013 le sue ceneri vengono traslate in un loculo della cripta del Famedio, zona del medesimo cimitero destinata a personaggi illustri.

Teresa Mattei (le 21 donne costituenti)

category Donne, Spi Vercelli 28 Maggio 2018

Teresa Mattei, detta Teresita (Genova, 1º febbraio 1921 – Usigliano (Pisa), 12 marzo 2013), è stata una partigiana, politica e pedagogista italiana.

Combattente nella formazione garibaldina Fronte della Gioventù (con la qualifica di Comandante di Compagnia) prese parte all’organizzazione dell’uccisione del filosofo Giovanni Gentile, di cui fu allieva. Fu anche la più giovane eletta all’Assemblea Costituente, dove assunse l’incarico di segretaria nell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea Costituente.

Dirigente nazionale dell’Unione Donne Italiane, fu insieme a Teresa Noce e a Rita Montagnana l’inventrice dell’uso della mimosa per l’otto marzo: Luigi Longo le chiese se sarebbe stato opportuno scegliere le violette, come in Francia, per celebrare quel giorno; Teresa Mattei gli suggerì la mimosa, un fiore più povero e diffuso nelle campagne.

Nasce a Genova nel 1921, la famiglia è impegnata politicamente: il padre Ugo è un avvocato antifascista e dirigente del Partito d’Azione, mentre il fratello Gianfranco Mattei, docente ordinario di chimica al Politecnico di Milano e iscritto dal 1942 al Partito Comunista Italiano, insieme alla stessa Teresa, è un importante esponente dei GAP a Roma come responsabile della produzione di esplosivi.  Nel 1938, in seconda liceo, viene espulsa da tutte le scuole del Regno perché contesta le leggi razziali fasciste. Prende la maturità come privatista (su consiglio di Pietro Calamandrei) lo stesso anno e si iscrive a Lettere e Filosofia. Il 10 giugno 1940, in occasione della dichiarazione di guerra, organizza la prima manifestazione in Italia contro il conflitto, in Piazza San Marco a Firenze. Si laurea in Filosofia presso l’Università di Firenze nel 1944. Nel febbraio di quell’anno, il fratello, dopo la cattura per una delazione, si toglie la vita nella cella della prigione di Via Tasso a Roma impiccandosi con la cintura dei pantaloni, per non cedere alle torture inflittegli e non rischiare, quindi, di rivelare i nomi dei compagni.

Teresa Mattei partecipa attivamente alla lotta di Liberazione con il nome di battaglia di Chicchi, soprattutto nelle cellule comuniste che operano nella città di Firenze. Inizialmente come staffetta poi fonda i Gruppi di difesa della donna di Firenze, e finisce la guerra di Liberazione con il grado di Comandante di Compagnia. A Firenze è catturata dai tedeschi, ma salvata da un gerarca fascista prima della fucilazione che dice: «Una così brava ragazza non può essere una partigiana». A lei ed al suo gruppo combattente si è ispirato Roberto Rossellini per l’episodio di Firenze del film Paisà.

Durante gli anni della Resistenza conosce Bruno Sanguinetti, di origine ebraica, figlio del proprietario dell’industria alimentare Arrigoni, comandante del Fronte della gioventù (giovani del Partito Comunista clandestino). Secondo la Mattei sarà Sanguinetti a pianificare l’uccisione di Giovanni Gentile, considerato il filosofo che aveva dato un volto presentabile al regime fascista: Sanguinetti prese la decisione per vendicare la morte del fratello di Teresa e per punire il responsabile morale delle fucilazioni per i renitenti al reclutamento del servizio di leva della RSI, di cui Gentile era stato cantore e “cattivo maestro”. Queste dichiarazioni hanno suscitato polemiche e smentite.

Nel 1946, eletta nelle liste del PCI alla Assemblea Costituente, nel XV collegio, quello di Firenze e Pistoia, è la più giovane eletta nell’organismo a soli 25 anni. L’articolo tre della Costituzione Italiana sul tema dell’uguaglianza porta la sua firma: riesce a far introdurre nell’articolo, al secondo comma l’espressione “di fatto”: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini….”. Sul tema della presenza femminile alla vita politica e istituzionale della nuova repubblica così si esprime durante la seduta dell’Assemblea Costituente del 18 marzo 1947: «Se la Repubblica vuole che più agevolmente e prestamente queste donne collaborino […] alla costituzione di una società nuova e più giusta, è suo compito far sì che tutti gli ostacoli siano rimossi dal loro cammino, e che esse trovino al massimo facilitata ed aperta almeno la via solenne del diritto».

Nel 1947 fonda, insieme alla democristiana Maria Federici, l’Ente per la Tutela morale del Fanciullo. Ancora alla Costituente diventa la prima rappresentante delle Ragazze madri e nel 1948 si sposò a Budapest con Bruno Sanguinetti.

Vive a Milano e si occupa della Casa della Cultura con Rossana Rossanda. Nel 1955 torna a Firenze con il suo secondo marito Iacopo Muzio dirigente del PCI. Lo stesso anno rifiuta la candidatura alle elezioni per la Camera dei deputati e venne espulsa dal PCI per il dissenso maturato nei confronti della politica stalinista e la linea di Palmiro Togliatti.

Nel 1996 lancia la raccolta di firme, “L’obbedienza non è più una virtù” con una cartolina petizione al Presidente Scalfaro per chiedere un nuovo processo al criminale nazista Erich Priebke responsabile della strage delle fosse Ardeatine ma anche della morte di decine di Patrioti appartenenti alla Resistenza nel carcere di via Tasso a Roma. Sarà testimone come sorella di Gianfranco Mattei, orribilmente torturato, e si ottenne la giusta condanna all’ergastolo di Priebke

Nel 2001 è a Genova contro il G8 con i suoi figli, partecipa attivamente a tutti i dibattiti ed è inorridita dalle criminali violazioni della Costituzione di cui sono protagonisti il governo italiano e tutti i suoi rappresentanti. Negli anni successivi è a fianco delle vittime di quelle giornate per ristabilire i diritti e la giustizia.

Teresa Mattei continua la lunga battaglia che ha accompagnato la sua vita in difesa della Costituzione e dei nuovi tentativi di modificarla e renderla inefficace.

Nel 2004 insieme al figlio Rocco partecipa con i ragazzi delle scuole della Provincia di Pisa al Pellegrinaggio dell’ANED ai Campi di sterminio in Germania e pronuncia un importante discorso a più di 200.000 ragazzi di tutta Europa a Mauthausen.

Nel 2006 durante la battaglia per il referendum costituzionale pronuncia queste parole davanti agli studenti del suo antico “Liceo Michelangelo” a Firenze: “Nell’articolo 1 della Costituzione si dice: “la sovranità appartiene al popolo“, ed è questa la cosa più importante che noi dobbiamo difendere. La sovranità è nelle mani nostre, nelle mani del popolo e paritariamente in quelle di ogni cittadino; con questo la Repubblica ci ha fatto diventare cittadini e non sudditi. Il più grande monumento, il maggiore, il più straordinario che si è costruito in Italia, alla libertà, alla giustizia, alla Resistenza, all’antifascismo, al pacifismo è la nostra Costituzione.”

È morta nel 2013 a Usigliano, all’età di 92 anni; all’epoca del decesso era l’ultima donna vivente fra i partecipanti all’Assemblea Costituente

Leonilde Iotti (le 21 donne costituenti)

category Donne, Spi Vercelli 25 Maggio 2018

Leonilde Iotti, detta Nilde (Reggio nell’Emilia, 10 aprile 1920 – Poli, 4 dicembre 1999), è stata una politica italiana, prima donna nella storia dell’Italia repubblicana a ricoprire una delle tre massime cariche dello Stato, la presidenza della Camera dei deputati, incarico che detenne per tre legislature tra il 1979 e il 1992, che rappresenta il più lungo mandato istituzionale relativo a qualsiasi carica nazionale dall’istituzione della Repubblica.

Figlia di un ferroviere e sindacalista socialista, Egidio, licenziato a causa del suo impegno politico, visse gli anni dell’adolescenza in un contesto di forti difficoltà economiche. Rimase orfana del padre nel 1934, e poté proseguire gli studi grazie a borse di studio che le permisero di iscriversi all’Università Cattolica di Milano, dove si laureò in lettere nel 1942. Esercitò l’insegnamento in alcune scuole tecniche della sua provincia natale, concludendo la sua esperienza professionale nel 1946. Ebbe tra i suoi professori Amintore Fanfani, ma decise di abbandonare la professione quando maturò un profondo spirito antifascista che la convinse ad occuparsi di politica.

Dopo l’8 settembre 1943 si avvicinò al PCI e partecipò alla resistenza, svolgendo inizialmente la funzione di porta-ordini, poi aderendo ai Gruppi di difesa della donna, formazione antifascista del PCI, diventando organizzatrice e responsabile. Fu presidente dell’Unione Donne Italiane di Reggio Emilia. Nella primavera del 1946 venne eletta nel consiglio comunale della città di Modena come indipendente nelle file del Partito Comunista Italiano, a cui aderì dopo breve tempo, venendo candidata ed eletta nel giugno dello stesso anno all’assemblea costituente.

Angela Maria Guidi Cingolani (le 21 donne costituenti)

category Donne, Spi Vercelli 24 Maggio 2018

Angela Maria Guidi coniugata Cingolani (Roma, 31 ottobre 1896 – Roma, 11 luglio 1991) è stata una politica italiana, esponente della Democrazia Cristiana e prima donna a ricoprire la carica di sottosegretario in un ministero della Repubblica Italiana.

Si laureò presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli in lingue e letterature slave. Molto attiva nel movimento cattolico, collaborò a giornali come L’Avvenire d’Italia e il Corriere d’Italia. È stata una delle prime giovani cattoliche a partecipare al Movimento nazionale pro suffragio femminile. Nel 1919 Guidi Cingolani s’iscrive al Partito Popolare Italiano, assumendo la carica di segretaria del gruppo femminile romano fino allo scioglimento del partito nel 1926 ad opera del fascismo.

Nel 1921 fonda il Comitato nazionale per il lavoro e la cooperazione femminile di cui sarà segretaria fino al 1926. Nel 1922 è nominata dal Ministero dell’Industria e commercio membro del Comitato delle piccole industrie e dell’artigianato. Alla caduta del fascismo aderisce alla Democrazia Cristiana divenendone consigliere nazionale dal 1944 al 1947.

Nominata alla Consulta Nazionale nel 1945, fu la prima donna ad intervenire nelle discussioni con un forte intervento a favore della parita uomo-donna:

L’anno dopo alle Elezioni politiche italiane del 1946 è eletta alla Costituente e nel 1948 deputata nella prima legislatura. Nel 1951 in occasione della formazione del suo settimo governo, Alcide De Gasperi decide di affidarle la carica di sottosegretario per l’artigianato al Ministero dell’Industria e del commercio. Alle elezioni politiche italiane del 1953 non viene rieletta.

Eletta Sindaco di Palestrina nel 1954, mantiene la carica fino al 1965. Durante il suo mandato si dedica energicamente all’opera di ricostruzione post-bellica della cittadina del Lazio ed alla valorizzazione del suo patrimonio artistico e archeologico. È presidente del Centro studi palestriniani fino al 1991, anno della sua morte. Nel 1986, nell’ambito della cerimonia per il suo novantesimo compleanno a Palestrina, organizzata del Sindaco Nazareno Dolce, riceve da Amintore Fanfani, Presidente del Senato, una medaglia d’oro al merito della sua attività politica.

Angela Gotelli (le 21 donne costituenti)

category Donne, Spi Vercelli 18 Maggio 2018

Angela Gotelli (Albareto, 28 febbraio 1905 – Albareto, 21 novembre 1996) è stata una politica e partigiana italiana.

Nel 1943 partecipò alla stesura del Codice di Camaldoli. Prese parte alla Resistenza italiana come partigiana, impegnandosi nella lotta di liberazione nel parmense. Nel 1945 trasferitasi a Roma, nel 1946 lavorò quindi a fianco di Giuseppe Lazzati e Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Giuseppe Dossetti, aderendo anche al gruppo del “Porcellino”. Il 6 febbraio 1947 fu chiamata a far par parte della commissione ristretta di 75 membri designata dai costituenti e, con Nilde Iotti, prese parte alla prima sottocommissione per i diritti e i doveri dei cittadini.

Fu eletta alla Camera dei deputati per tre successive legislature, nel 1948, nel 1953 e nel 1958, ricoprì incarichi di rilievo: sottosegretario alla Sanità nel Governo Fanfani II e nel Governo Tambroni e al Lavoro nel Governo Segni II. Dal 1951 al 1958, fu sindaco di Albareto