L’Italia si caratterizza per l’assenza di forme strutturate di welfare familiare e per una spesa sociale complessivamente piu’ bassa degli altri Stati europei, con scarse risorse destinate al sostegno delle famiglie. Lo dice l’Inca Cgil in occasione della tavola rotonda ‘Donne contro i razzismi e le discriminazioni’ in corso a Roma.
”Nel nostro Paese -osserva il patronato della Cgil- si registrano quote elevate di inattivita’ femminile e una partecipazione discontinua delle donne al mercato del lavoro, soprattutto in relazione allo status familiare e alla presenza di figli o persone non autosufficienti. Sul fronte opposto, si colloca l’area del cosiddetto welfare nordico, dove a un mercato del lavoro flessibile viene associato un sistema di sostegni nei periodi di transizione, formazione e assistenza al reinserimento, che permette di affrontare uno degli aspetti peculiari della partecipazione femminile, cioe’ la discontinuita’. Si tratta dei paesi europei dove le donne hanno i piu’ alti tassi di occupazione. Tra questi due estremi si collocano gli Stati del welfare continentale, come Germania e Francia”.
A fronte di tali disomogeneita’, l’Unione europea ha individuato una linea d’intervento nell’ambito della Strategia di Lisbona dedicata proprio all’incremento dell’occupazione femminile, in stretta connessione con lo sviluppo dei servizi di supporto alla cura.
Tutti gli Stati membri sono stati invitati a offrire servizi all’infanzia al 33% dei bambini di eta’ compresa tra 0 e 3 anni. L’Italia si attesta sul 9,9%, con ampi divari territoriali, che vanno dalla punta minima dell’1,8% in Calabria al 22% in Emilia Romagna.
Migliore appare la situazione relativa a un secondo parametro indicato dalla Ue, quello di garantire servizi di copertura al 90% dei bambini dai 3 anni all’eta’ scolare; obiettivo raggiunto da otto paesi tra cui l’Italia.
In generale, in Italia, la relazione delle donne con il mercato del lavoro risente di tre caratteristiche: atipicita’, discontinuita’ e inattivita’. Un aspetto dell’atipicita’ riguarda ad esempio le ‘false collaborazioni’. I livelli piu’ elevati di falsi collaboratori sorgono dalla combinazione di tre fattori: genere femminile, localizzazione territoriale nel Mezzogiorno e livello di studio elevato. Quanto alla discontinuita’ occupazionale, la causa principale e’ rappresentata dalla maternita’.
Sul fronte dell’inattivita’, la componente femminile ne e’ coinvolta in misura quasi doppia rispetto a quella maschile. E’ una caratteristica prevalente del mercato del lavoro nelle regioni meridionali, dove i valori dell’inattivita’ delle donne sono sempre superiori al 50%, a dimostrazione di una criticita’ che fatica a risolversi, ma anche di un bacino potenziale su cui investire in politiche di attivazione, attraverso un approccio multidimensionale e politiche sempre piu’ orientate al ‘welfare to work’.
Ad oggi, secondo l’Inca Cgil, il tema chiave della conciliazione non ha ancora trovato soluzioni che non siano affidate alla sensibilita’ dei contesti lavorativi o alle sperimentazioni progettuali temporalmente limitate, come quelle fornite dalla legge 53 del 2000, che tra l’altro continua a scontare diverse difficolta’ attuative
Roma, 6 mar. – (Adnkronos/Labitalia) –